Non ascoltare ciò che le persone dicono. Guarda cosa fanno i migliori.
John Danaher

Quando si parla di salute viene naturale prendere ad esempio gli atleti: chi meglio di loro incarna il massimo dell’efficienza fisica? Tutto giusto… o forse no?

Talento, genetica e obiettivi

Partiamo dall’allenamento.
E’ vero che“il lavoro duro batte il talento, se il talento non lavora duramente”, ma è altrettanto vero che per arrivare ai massimi livelli di uno sport bisogna essere non soltanto talentosi e lavoratori, ma anche geneticamente predisposti.

Senza la giusta predisposizione genetica, anche il lavoro più intenso non basta per competere con l’élite mondiale.

Eccezioni? Poche.
Nate Robinson, ex giocatore NBA, è stato uno dei pochi a sfidare questa logica: con un’altezza di soli 1,75 m, è riuscito a vincere la gara delle schiacciate. Ma le eccezioni servono a confermare la regola, non a smentirla.

Nei libri di preparazione atletica infatti si trova scritto un concetto molto chiaro:

Se vuoi creare un campione, scegli bene i suoi genitori.

In altre parole, senza la struttura fisica adatta, nessun allenamento potrà mai trasformarti nel migliore al mondo.

Ma è solo questione di fortuna?
Non proprio.

Studi recenti suggeriscono che siamo vicini ai limiti biologici della performance umana. Oggi, la differenza tra un atleta e l’altro non è solo genetica, ma tecnologica.

Eliud Kipchoge è un fenomeno, nessuno lo mette in dubbio. Ma per correre una maratona sotto le 2 ore ha avuto bisogno di:

  • una scarpa che gli permettesse di avere una maggiore efficienza di corsa
  • un abbigliamento che limitasse l’attrito con l’aria
  • e una strategia di corsa studiata al millimetro.

Lo stesso è accaduto nel nuoto: alle Olimpiadi di Pechino 2008, 25 record del mondo furono abbattuti grazie a costumi speciali che riducevano l’attrito con l’acqua.
(Quei costumi furono poi vietati).

Nota importante: gli atleti olimpici sono dei fenomeni, che fanno parte di una cerchia ristretta di persone al mondo. Vivono per la competizione e per la gloria. E ogni sportivo, me compreso, farebbe di tutto pur di vincere un oro olimpico.

Un sondaggio condotto qualche anno fa ha rilevato che molti atleti professionisti sarebbero disposti a vincere un oro olimpico, anche a costo di morire entro i successivi 5 anni.
Per chi si allena la salute, dimagrire o il benessere, questo approccio è pura follia.

Eppure, tanti vogliono paragonarsi agli atleti professionisti, ma non sono disposti a fare gli stessi sacrifici.

Salute e prestazione

Un’atleta professionista è una macchina da competizione: vive al limite, sempre al massimo delle capacità, spingendosi oltre le proprie capacità, spesso a discapito della salute.
Non è il ritratto del benessere.

Esempio pratico: se un calciatore si rompe un legamento crociato, milioni di euro di investimenti sono a rischio. Per lui fare un’intervento chirurgico o delle terapie in modo accelerato, sono modi per limitare le perdite (economiche) e riprendere a giocare il più in fretta possibile.

Se il calciatore è una Ferrari, tu sei una 500.
Se tu perdi il 10% delle tue capacità, nessuno noterà la differenza.
Ma se la Ferrari passa da 330 a 300 km/h, perde la gara.
Perciò non importa che intervento sia richiesto, quella Ferrari deve tornare a raggiungere i 330 km/h per poter vincere.
Tu non hai questa necessità.

Quindi quando si tratta di benessere, il modello dell’atleta professionista non è la scelta ideale, anzi.

Utilizzare antidolorifici, antinfiammatori oppure eseguire interventi chirurgici rischiosi dovrebbero essere scelte da considerare solo quando non c’è altra alternativa, non come prima soluzione.

Recupero e integrazione: gli atleti giocano in un altro campionato

Un atleta professionista cura il proprio corpo in modo maniacale.

Si mormora che Lebron James spenda oltre 1 milione di dollari all’anno per la sua salute, tra:

  • preparatori atletici,
  • terapisti
  • cuoco personale
  • e sonno di qualità, il più grande integratore del benessere

A questo si aggiungono gli integratori alimentari e la gestione dello stress, che gli permettono di allenarsi più spesso e avere sempre un vantaggio competitivo sui propri avversari.

Nel libro Relentless, il preparatore atletico di Michael Jordan racconta che “The GOAT” lo pagava non solo per essere il suo coach e personal trainer, ma anche per assicurarsi che NON allenasse nessun altro.

Malattie e infortuni sono il prezzo da pagare

Per il corpo umano qualsiasi eccesso è dannoso. Gli atleti sottopongono il corpo a degli stress estremi: allenamenti duri, competizioni, pressioni mediatiche. Il risultato sono gli infortuni (spesso ricorrenti), un sistema immunitario indebolito e un’accelerazione del processo di invecchiamento.

Per uno sportivo professionista la malattia e l’infortunio fanno parte del gioco, è un rischio calcolato. E sicuramente sarà in grado di recuperare in modo più rapido rispetto a una persona comune.
Solo perché hai avuto lo stesso infortunio di Ibrahimovic o Ronaldo, non significa che avrai il suo recupero.

Cosa invece bisogna prendere ad esempio

  1. Disciplina e resilienza:
    Andy Murray, un tennista che ha subito due interventi chirurgici all’anca, ha dovuto re-imparare a camminare due volte.
    Quanti sarebbero in grado di ripartire da zero così?
    Lui l’ha fatto, 2 volte, per un’operazione all’anca.
  2. Cura dei dettagli
    Michael Jordan non si concentrava su quanti punti segnava, ma su quanti ne avesse sbagliati: così sapeva in cosa doveva migliorare.
  3. Mentalità vincente
    Kobe Bryant e la sua Mamba Mentality: migliorarsi ed essere sempre pronto a mettersi al lavoro.
    Di esempi sulla sua etica di allenamento ne raccontano di ogni tipo: prima di una partita importante un suo avversario decise di scendere in campo per fare riscaldamento, esercitandosi sui tiri: trovò Kobe che si stava allenando .
    Iniziò ad allenarsi e, motivato dalla presenza di Bryant, fece 60 minuti di tiri a canestro. Quando finì, rimase a vedere Kobe che continuava ad allenarsi intensamente, come stesse giocando la partita della sua vita.

A fine partita (Kobe mise a segno 40 punti) l’avversario si avvicinò al Mamba chiedendo il perché di quel duro riscaldamento. Kobe rispose: “Ho visto quando sei arrivato. Volevo farti capire che non importa quanto lavori duramente, io sarò pronto a farlo di più”.
(Ovviamente la partita la vinse Kobe Bryant.)

  1. Etica del lavoro
    Cristiano Ronaldo, classe ’85, continua a giocare ad altissimi livelli, perché cura il suo corpo con precisione assoluta

Un suo ex compagno di squadra racconta di quando, dopo un allenamento intenso, fu invitato a cena dal portoghese: il pasto era composto da insalata e pollo. Appena finito di mangiare, invece di rilassarsi, prese il pallone e propose al compagno di giocare con lui. Poi continuarono con una seduta in piscina.

Per Cristiano l’allenamento e la cura dell’alimentazione non sono un sacrificio, ma un piacere.

La differenza tra un grande atleta e uno bravo? Il grande fa le cose che non sempre ha voglia di fare. Ma le fa lo stesso.
Michael Phelps

Prendi esempio dai migliori, ma nel modo giusto.

Alessandro

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